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Tim Buckley

Buckley photographed by Jørgen Angel, 1974

Tim Buckley: Il poeta visionario della musica senza confini

Introduzione: Il Cantore della Libertà Musicale

C’è chi percorre la via della musica seguendo sentieri battuti, e chi invece si avventura nei territori sconosciuti della sperimentazione. Tim Buckley apparteneva alla seconda categoria, un artista che sfidava le convenzioni con la sua voce eterea e le sue composizioni inafferrabili. In un’epoca dominata dal folk, dal rock e dal jazz, lui li intrecciava tutti, creando paesaggi sonori in cui l’ascoltatore poteva perdersi. La sua vita, breve ma intensa, fu un viaggio tra estasi creative e turbolenze personali, lasciando un’eredità musicale che ancora oggi affascina e ispira.

Le Origini di un Talento Ribelle

Timothy Charles Buckley III nacque il 14 febbraio 1947 a Washington, D.C., ma crebbe a Anaheim, in California. Fin da bambino, la musica fu parte integrante della sua vita. Suo padre, veterano della Seconda Guerra Mondiale, lo iniziò ai grandi della musica country, mentre la madre gli fece scoprire il jazz. Da adolescente, Tim sviluppò una passione per il folk e il blues, influenzato da artisti come Bob Dylan e Bessie Smith.

A scuola, conobbe il paroliere Larry Beckett, con cui avrebbe collaborato per tutta la vita. Insieme, sperimentarono una scrittura poetica e visionaria, che sarebbe diventata una firma del repertorio di Buckley.

L’Esordio: Folk e Sperimentazione

Nel 1966, appena diciannovenne, Tim Buckley pubblicò il suo album di debutto, “Tim Buckley”. Il disco, fortemente influenzato dal folk, rivelava già la sua voce unica e la capacità di esplorare territori sonori inusuali. Tuttavia, fu con “Goodbye and Hello” (1967) che Buckley mostrò appieno il suo talento. L’album mescolava folk, psichedelia e jazz, con testi poetici e arrangiamenti complessi che lo distinguevano dalla massa.

La sua voce, capace di salire a note celestiali e poi scendere in profondità, era già un marchio di fabbrica. Buckley non voleva essere solo un cantante folk; desiderava rompere le barriere e sperimentare senza limiti.

La Trasformazione: Tra Jazz e Psichedelia

Alla fine degli anni ’60, Buckley si distaccò dal folk per avventurarsi in territori più sperimentali. “Happy Sad” (1969) segnò questa svolta: influenze jazzistiche e suoni eterei sostituirono le strutture convenzionali delle canzoni folk. I brani, dilatati e ipnotici, esploravano emozioni profonde, portando l’ascoltatore in un viaggio onirico.

Seguì “Blue Afternoon” (1969), che accentuò ulteriormente la fusione tra jazz e folk, e “Lorca” (1970), forse il suo album più audace e difficile. Quest’ultimo, con le sue atmosfere cupe e le strutture irregolari, anticipò di decenni la musica ambient e d’avanguardia.

“Starsailor”: Il Capolavoro Visionario

Nel 1970, Buckley pubblicò “Starsailor”, il suo lavoro più sperimentale e avventuroso. Qui, la sua voce divenne uno strumento puro, usata in modi imprevedibili e trascendentali. Il disco conteneva la celebre “Song to the Siren”, uno dei brani più toccanti della sua carriera, che anni dopo sarebbe stato reso famoso dalla versione dei This Mortal Coil.

Nonostante la genialità dell’album, “Starsailor” non ebbe il successo sperato. Era troppo avanti per il suo tempo, e il pubblico non riuscì a comprenderlo. Questo segnò l’inizio di una fase difficile per Buckley.

Declino e Lotta Interiore

Negli anni successivi, Buckley tentò di avvicinarsi a un sound più accessibile con album come “Greetings from L.A.” (1972), che esplorava il funk e il soul. Tuttavia, il pubblico non rispose come sperava. La sua carriera entrò in crisi, e Tim iniziò a lottare con problemi personali e di dipendenza.

Nonostante alcuni tentativi di rilancio, la sua vita prese una piega tragica. Il 29 giugno 1975, all’età di 28 anni, Tim Buckley morì per un’overdose accidentale di eroina e alcol. La sua morte fu un duro colpo per il mondo della musica, privando il panorama artistico di una delle voci più straordinarie della sua generazione.

L’Eredità di un Artista Senza Tempo

Anche se la sua vita fu breve, l’impatto di Tim Buckley sulla musica rimane immenso. Il suo stile innovativo ha influenzato generazioni di artisti, tra cui suo figlio Jeff Buckley, che avrebbe seguito le sue orme diventando a sua volta una leggenda della musica.

Dai palcoscenici folk agli esperimenti avanguardistici, Buckley ha sempre rifiutato di essere ingabbiato in un unico genere. La sua voce, con la sua incredibile estensione e versatilità, continua a incantare e a ispirare musicisti e appassionati.

Conclusione: Un Viaggio Senza Fine

Tim Buckley fu un poeta musicale, un viaggiatore senza meta in un universo sonoro in continua espansione. La sua musica non appartiene a un’epoca specifica, ma a un continuum senza tempo. Oggi, il suo nome è sinonimo di libertà artistica e di ricerca dell’infinito attraverso il suono.

In un mondo musicale spesso ingabbiato dalle regole del mercato, Buckley rimane un faro per chi cerca la verità nell’arte, ricordandoci che la musica più autentica è quella che nasce dall’anima e vola oltre i confini del possibile.

Tim Buckley1966Album di debutto folk-rock, caratterizzato da melodie delicate e testi poetici.
Goodbye and Hello1967Secondo album, con sonorità più sperimentali e testi introspettivi.
Happy Sad1969Transizione verso il jazz-folk, con brani lunghi e atmosfere sognanti.
Blue Afternoon1969Album intimo e jazzato, con influenze blues e folk.
Lorca1970Opera sperimentale, con sonorità avant-garde e testi surreali.
Starsailor1970Album più sperimentale, con influenze free jazz e musica d’avanguardia.
Greetings from L.A.1972Ritorno a sonorità più rock e soul, con tematiche più esplicite.
Sefronia1973Mix di folk, rock e funk, con testi narrativi e introspettivi.
Look at the Fool1974Ultimo album in vita, con sonorità rock e testi personali.
Dream Letter: Live in London 19681990 (postumo)Registrazione live che cattura l’essenza del suo stile folk-jazz.
Live at the Troubadour 19691994 (postumo)Altra registrazione live, con performance intense e improvvisate.
Morning Glory: The Tim Buckley Anthology2001 (postumo)Raccolta che ripercorre la sua carriera, con brani rari e classici.

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curiosità

L’amicizia con Larry Beckett: Il poeta dietro le canzoni

Larry Beckett non era solo un amico di Tim Buckley, ma anche il suo paroliere più fidato. Si conobbero al liceo e iniziarono a scrivere canzoni insieme, sviluppando uno stile lirico visionario e profondo. Molti dei primi testi di Buckley, come quelli di Song for Jainie e No Man Can Find the War , portano la firma di Beckett. Anche dopo che le loro strade si separarono, Beckett continuò ad ammirare Tim ea raccontarne l’eredità artistica.


Tim Buckley e Frank Zappa: Due ribelli a confronto

Negli anni ’60, Tim Buckley incrociò il cammino di Frank Zappa , un altro innovatore musicale. Zappa rimase colpito dalle capacità vocali di Buckley, ma i due avevano visioni artistiche molto diverse. Si dice che abbiano avuto una discussione accesa su cosa significasse davvero essere “sperimentali” nella musica. Zappa era metodico e rigoroso, mentre Buckley era più istintivo e libero.


“Il canto della sirena” e l’incredibile destino postumo

Quando Tim Buckley scrisse “Song to the Siren” , non ebbe un grande successo. Lanciata per la prima volta nel 1968 durante il programma The Monkees , la canzone passò inosservata. Solo anni dopo, nel 1983, il duo inglese This Mortal Coil ne fece una cover struggente che divenne celebre e rilanciò l’interesse per Buckley. Oggi è una delle sue canzoni più amate.


Il rifiuto delle regole commerciali: Una carriera senza compromessi

Tim Buckley era famoso per la sua avversione alle convenzioni dell’industria musicale . Non voleva essere incasellato in un genere specifico e si rifiutava di eseguire dal vivo i suoi successi più famosi. Durante alcuni concerti, il pubblico chiedeva a gran voce canzoni come Morning Glory o Buzzin’ Fly , ma lui, infastidito, improvvisava invece brani inediti o versioni stravolte delle sue stesse canzoni.


Un estremo controllo sulla voce

La voce di Tim Buckley era uno strumento straordinario : poteva coprire cinque ottave ed era capace di passare da toni dolci e malinconici a urla viscerali. Durante le registrazioni di Starsailor , i tecnici di studio rimasero scioccati dalla facilità con cui poteva modulare la sua voce senza sforzo apparente.




Un incontro mancato tra padre e figlio

Jeff Buckley, il figlio di Tim, crebbe senza conoscerlo davvero. I due si incontrarono solo una volta, quando Jeff aveva circa 8 anni. Si dice che Tim fosse molto nervoso e non sapesse come comportarsi con lui. Dopo la morte di Tim, Jeff scoprì la musica del padre e, pur seguendo un percorso artistico diverso, condivise con lui una sorte tragica: anche Jeff morì giovane, a soli 30 anni, in circostanze drammatiche.


Le ultime ore di Tim Buckley: La tragica fine

Dopo anni di alti e bassi, Buckley sembrava aver trovato un po’ di stabilità nel 1975. Il 28 giugno , dopo una festa con amici, tornò a casa e assunse una combinazione letale di eroina e alcol . La dose fu troppo forte per il suo corpo debilitato, e il giorno successivo, il 29 giugno, morì nel sonno.

Curiosamente, chi lo introdusse all’eroina quella notte fu Richard Keeling , un amico di lunga data. Keeling fu processato per omicidio colposo, ma venne poi assolto.


L’influenza su artisti moderni

Nonostante la sua carriera travagliata, Tim Buckley è oggi considerato una delle figure più influenti della musica alternativa e sperimentale. Thom Yorke (Radiohead), Robert Plant (Led Zeppelin), Matt Bellamy (Muse) e Jeff Buckley hanno tutti citato Tim come una fonte d’ispirazione per il suo coraggio nel rompere gli schemi musicali.

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