Carl Perkins

Il Re del Rockabilly – Storia di una leggenda del rock ‘n’ roll
Le radici del rock: Carl Perkins nasce nel sud degli Stati Uniti
Era il 9 aprile 1932 quando a Tiptonville, nel cuore del Tennessee rurale, nacque Carl Lee Perkins, figlio di Buck e Louise Perkins. La sua culla non era dorata, ma fatta di terra rossa, sudore e campi di cotone. Cresciuto in una baracca senza elettricità, il piccolo Carl imparò presto cosa significava vivere in povertà. Ma proprio quella povertà, insieme all’orgoglio e alla forza dei suoi genitori, forgiò il suo spirito ribelle e creativo.
Il padre, contadino e appassionato di musica country, costruì per lui una chitarra rudimentale con una scatola di sigari e delle corde di filo. Carl la suonava con passione, imitando le melodie di Bill Monroe e di altri musicisti country ascoltati alla radio. Ma fu il blues afroamericano, quello che sentiva tra i campi, ad accendere la scintilla: i canti degli operai, le note malinconiche delle sei corde suonate da uomini stanchi e pieni di storie.
I primi accordi, le prime sfide
Negli anni Quaranta, Carl iniziò a suonare nei locali dei sobborghi e delle cittadine del Tennessee. Con i fratelli Jay e Clayton, formò i Perkins Brothers Band. Suonavano nei bar e nei festival di paese, passando da ballate country a pezzi swing, ma sempre con quel ritmo sincopato che avrebbe fatto storia.
Il giovane Carl Perkins non sapeva leggere la musica, ma possedeva un dono: sapeva far parlare la sua chitarra. Il suo stile era grezzo ma irresistibile, un ibrido tra il picking country e il groove blues. Senza saperlo, stava gettando le fondamenta di quello che sarebbe diventato il rockabilly, un genere musicale destinato a scuotere il mondo.
L’incontro con Sam Phillips e la Sun Records
Nel 1954, affascinato dal successo di Elvis Presley, Carl fece il grande salto: guidò fino a Memphis per incontrare Sam Phillips, il produttore della Sun Records. Phillips vide subito in lui un diamante grezzo, una stella del sud pronta a esplodere.
Nel 1955 uscì il suo primo singolo: “Movie Magg”, un brano country dal ritmo incalzante. Ma il vero terremoto musicale arrivò pochi mesi dopo, quando Carl incise quello che sarebbe diventato il suo capolavoro: “Blue Suede Shoes”.
Blue Suede Shoes: La nascita di un’icona
“Don’t step on my blue suede shoes!”: con questa frase, Carl Perkins entrò nella leggenda. Il brano, registrato nel dicembre 1955, fu un successo istantaneo. Il suo ritmo serrato, la voce graffiante e la chitarra tagliente lo resero un inno generazionale. Era nato il rockabilly, e Carl ne era il re indiscusso.
“Blue Suede Shoes” scalò le classifiche country, pop e R&B contemporaneamente – un evento rarissimo all’epoca. Carl aveva creato un ponte tra mondi diversi: il country bianco e il blues nero, uniti sotto il segno del ritmo.
Il brano vendette oltre un milione di copie. Elvis Presley lo reinterpretò, ma fu Carl a scriverlo, a cantarlo per primo, a viverlo.
L’incidente e l’occasione perduta
Nel 1956, Perkins era pronto a conquistare il mondo. Doveva esibirsi in diretta alla TV nazionale al Perry Como Show, ma il destino aveva altri piani. Un terribile incidente stradale mentre era in viaggio verso New York gli fratturò il cranio e quasi gli costò la vita.
Mentre Carl era ricoverato in ospedale, Elvis cantava “Blue Suede Shoes” in TV, diventando ancora più famoso. Fu un colpo duro da incassare. Ma Perkins, nonostante le ferite, non si arrese mai.
Il Million Dollar Quartet: una jam leggendaria
Il 4 dicembre 1956, negli studi della Sun Records, accadde qualcosa di magico. Carl Perkins stava registrando quando entrò Jerry Lee Lewis per accompagnarlo al piano. Poco dopo arrivò Johnny Cash. E infine, come una tempesta, entrò Elvis Presley.
Quella improvvisata jam session è passata alla storia come il Million Dollar Quartet. I quattro pionieri del rock ‘n’ roll suonarono insieme gospel, blues e rockabilly. Fu un momento irripetibile, una fotografia sonora dell’anima del rock.
Gli anni difficili: luci che si affievoliscono
Dopo il successo di “Blue Suede Shoes”, la carriera di Carl conobbe alti e bassi. I suoi brani successivi non ebbero lo stesso impatto commerciale. L’alcolismo e i problemi familiari cominciarono a minare il suo equilibrio. Passò da un’etichetta all’altra, senza trovare la stabilità.
Ma la sua influenza era tutt’altro che finita. I Beatles, appena agli inizi, idolatravano Carl Perkins. George Harrison, in particolare, considerava Carl un maestro. I Fab Four registrarono cover dei suoi brani, come “Honey Don’t”, “Matchbox” e “Everybody’s Trying to Be My Baby”.
La rinascita negli anni Settanta e Ottanta
Negli anni Settanta, Carl ritrovò energia e ispirazione. Collaborò con Johnny Cash, con cui registrò e andò in tour, e partecipò a diverse trasmissioni televisive. Nel 1985, una serata celebrativa intitolata “Blue Suede Shoes: A Rockabilly Session” vide Carl esibirsi insieme a George Harrison, Eric Clapton, Ringo Starr e altri grandi. Fu un trionfo.
Perkins dimostrò di essere ancora un maestro della chitarra, capace di incantare il pubblico con il suo tocco sincero e la sua voce vissuta. L’evento fu un tributo commosso alla sua eredità musicale, una consacrazione definitiva.
Carl Perkins e l’eredità del rockabilly
Carl Perkins è molto più di “Blue Suede Shoes”. È l’anello di congiunzione tra country, blues e rock. Ha dato voce a una generazione di ribelli, ha ispirato giganti della musica, ha creato uno stile che ancora oggi fa battere i piedi.
Il suo stile chitarristico, il suo songwriting diretto e la sua autenticità hanno fatto scuola. Oltre ai Beatles, artisti come Elvis Costello, Bob Dylan, Tom Petty e i Queen hanno dichiarato il loro amore per lui.
Il Rock and Roll Hall of Fame lo ha inserito tra i grandi nel 1987. Ma la sua vera eredità è nell’anima del rock stesso.
Gli ultimi anni e l’addio di una leggenda
Negli anni Novanta, Carl continuò a esibirsi e a registrare. Sempre umile, sempre fedele alle sue radici, sempre innamorato della musica. Nel 1996, pubblicò un album autobiografico e toccante, “Go Cat Go!”, che vide la partecipazione di Paul McCartney, George Harrison, Bono e Tom Petty.
Il 19 gennaio 1998, Carl Perkins si spense a 65 anni per un cancro alla gola. Ma la sua fiamma non si è mai spenta.
discografia ⬇️⬆️
Dance Album of Carl Perkins | 1957 | Primo album, rockabilly puro con Blue Suede Shoes e altri successi. |
Whole Lotta Shakin’ Goin’ On | 1958 | Cover e brani originali, influenze rock & roll e country. |
On Top | 1969 | Ritorno dopo anni difficili, sonorità country-rock. |
Boppin’ the Blues (con NRBQ) | 1970 | Collaborazione con NRBQ, revival rockabilly e blues. |
My Kind of Country | 1973 | Country tradizionale, inciso per la Mercury Records. |
Ol’ Blue Suede’s Back | 1978 | Torna alle origini rockabilly, prodotto da Jerry Lee Lewis. |
Country Soul | 1979 | Fusione di country e soul, inciso per la Jet Records. |
Live at Austin City Limits | 1981 | Registrazione dal vivo, mix di rockabilly e classici country. |
The Survivors (con Jerry Lee Lewis & Johnny Cash) | 1982 | Album live con i leggendari “Million Dollar Quartet”. |
Born to Rock | 1989 | Omaggio al rock & roll, con brani originali e cover. |
Friends, Family & Legends | 1992 | Duetti con artisti country e rock, tra cui Paul McCartney e George Harrison. |
Go Cat Go! | 1996 | Ultimo album in studio, collaborazioni con Johnny Cash, Paul McCartney e altri. |
curiosità
Carl Perkins era il vero “Re del Rockabilly”, ma era troppo umile per vantarsene
Anche se oggi il titolo di “Re del Rockabilly” viene spesso dato ad Elvis Presley, fu Carl Perkins il primo vero innovatore di quel suono ibrido tra country e blues. Perkins però era un uomo umile, timido, che non cercava mai i riflettori: preferiva restare dietro la musica. Quando gli chiedevano se fosse geloso di Elvis, lui rispondeva semplicemente:
“Se Elvis sta facendo felici le persone con la mia canzone, allora va bene anche per me.”
L’incidente d’auto cambiò la storia del rock
Se non ci fosse stato l’incidente del marzo 1956, Carl Perkins avrebbe probabilmente superato Elvis come icona mondiale. Il suo manager raccontò che il giorno dopo il crash, mentre Carl era ancora incosciente, oltre 500.000 copie di “Blue Suede Shoes” vennero ordinate. Sam Phillips, il suo produttore, disse:
“In quel momento Carl era l’uomo che avrebbe potuto essere il re.”
Era ammirato da George Harrison
George Harrison dei Beatles era letteralmente ossessionato da Carl Perkins. Il chitarrista dei Beatles imparò a suonare la chitarra copiando gli assoli di Perkins, in particolare il suo stile di picking veloce e pulito.
Quando i Beatles divennero famosi, invitarono Carl a suonare con loro e George spesso lo chiamava affettuosamente “Perk.”
In Inghilterra era considerato un semidio
Durante i tour negli anni ’60, Carl Perkins veniva accolto in Inghilterra come una leggenda vivente. Musicisti come Eric Clapton, Jeff Beck e Jimmy Page dichiararono che senza il suo stile, il rock britannico non sarebbe mai nato.
Carl scrisse canzoni per Johnny Cash
Perkins e Johnny Cash erano grandi amici. Dopo il periodo difficile seguito all’incidente, Carl si unì alla compagnia di Johnny Cash e scrisse per lui diversi brani. Uno dei più celebri fu “Daddy Sang Bass”, che divenne un enorme successo country negli anni ’60.
Una vita dura, ma sempre sobria
In un’epoca in cui molti artisti rock erano travolti da alcol e droga, Carl Perkins rimase sempre piuttosto sobrio. Dopo l’incidente, ebbe una breve fase di depressione e alcolismo, ma si riprese grazie alla fede religiosa e al sostegno della sua famiglia. Non si lasciò mai davvero distruggere dal “lato oscuro” della fama.
Non senza il suo cappello
Negli ultimi anni della sua vita, Carl era raramente visto senza il suo famoso cappellino da baseball. Era diventato un po’ il suo “marchio di fabbrica” e lui stesso diceva:
“Mi sento più vicino ai ragazzi dei campi di cotone con questo cappello.”
Carl Perkins ha suonato alla Casa Bianca
Nel 1987, Carl Perkins si esibì alla Casa Bianca su invito del presidente Ronald Reagan. Reagan lo presentò come:
“Una delle vere radici dell’America.”
Quando è morto, l’America ha perso un tesoro
Carl Perkins morì il 19 gennaio 1998. Al suo funerale, Johnny Cash e George Harrison mandarono messaggi commossi, e Bob Dylan disse che “nessuno poteva suonare come Carl.”
Anche Paul McCartney una volta dichiarò:
“Se non ci fosse stato Carl Perkins, i Beatles non sarebbero esistiti.”
Se vuoi, posso anche raccontarti alcuni aneddoti ancora più rari (tipo quando Carl rifiutò di cambiare il suo stile per diventare “più pop” o quando improvvisò un duetto con Eric Clapton in un bar di Londra! 🚀).
Ti va che continuiamo con qualche altra storia “da backstage” su di lui? 🎸🔥
Magari anche alcune curiosità sulle sue ultime registrazioni segrete…
4o
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certo raccontami
ChatGPT ha detto:
Fantastico, allora ti porto proprio dietro le quinte nella vita di Carl Perkins! 🎸✨
Queste storie sono davvero da veri fan:
L’ultima registrazione segreta con George Harrison
Poco prima di morire, Carl Perkins e George Harrison registrarono una jam session privatissima in uno studio di Londra. Era il 1996. Non volevano pubblicità: due amici che suonavano solo per il piacere di farlo.
Carl raccontava che non avevano un piano:
“Abbiamo solo preso le chitarre, ci siamo guardati e abbiamo suonato come due ragazzini.”
Il nastro è custodito negli archivi della famiglia Harrison e finora non è mai stato pubblicato ufficialmente.
Quando Carl Perkins disse “no” a Sam Phillips
All’inizio della sua carriera a Sun Records, Sam Phillips voleva che Carl cambiasse stile per essere più “vendibile”, magari abbandonando le sue radici country per diventare più pop.
Carl rifiutò. Preferiva restare fedele alla musica dei campi di cotone dove era cresciuto. Una scelta coraggiosa che probabilmente gli costò parte della fama planetaria… ma gli salvò l’anima musicale.
Il famoso duetto improvvisato con Eric Clapton
Nel 1981, Carl Perkins si trovava a Londra per un’intervista TV. Dopo aver finito, andò in un pub vicino a Soho. Lì incontrò per caso Eric Clapton, che era un suo fan sfegatato.
Si misero a parlare, tirarono fuori le chitarre e… improvvisarono un mini-concerto per gli avventori increduli!
Tra i pezzi suonati, ovviamente, “Matchbox” e “Blue Suede Shoes”. Alcuni dicono che fu una delle jam session più emozionanti di sempre.
Il disco che non vide mai la luce
Carl stava lavorando a un album acustico di gospel e spirituals poco prima della sua morte. Il progetto era molto personale, voleva raccontare la sua fede attraverso canzoni minimali, solo voce e chitarra.
Aveva registrato circa otto tracce ma non riuscì a terminarlo. Il progetto rimane incompiuto nei suoi archivi personali.
Il sogno: unire blues, country e gospel
Per tutta la vita, Carl Perkins sognò di creare una “super band” che unisse musicisti blues, country e gospel per un grande concerto “della vera musica americana”.
Aveva parlato del progetto con B.B. King, Johnny Cash e Jerry Lee Lewis, ma purtroppo non riuscirono mai a realizzarlo.
L’idea ispirò però molti anni dopo il “Million Dollar Quartet” (con Elvis, Johnny Cash, Jerry Lee Lewis e Carl stesso), diventato una leggendaria sessione improvvisata.
L’ultima esibizione pubblica
Carl suonò per l’ultima volta in pubblico il 15 novembre 1997 in una piccola chiesa nel Tennessee.
Nonostante fosse già molto malato, salì sul palco, si tolse il cappellino da baseball, e disse:
“Io sono ancora qui per cantare la mia verità.”
Suonò “Blue Suede Shoes” accompagnato da un coro gospel. La sua voce era roca, ma piena di emozione.
Molti dicono che non ci fu un occhio asciutto quella sera.
Carl Perkins ha ispirato una… pietra preziosa!
In suo onore, un collezionista di gemme ha chiamato una particolare varietà di tormalina blu “Perkins Blue”, ispirata al colore acceso delle famose “suole blu” di “Blue Suede Shoes”.