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Parlare degli Hawkwind significa intraprendere un viaggio sonoro che va ben oltre i confini della musica rock tradizionale. Questa band britannica, nata alla fine degli anni ’60, è considerata la madre dello space rock, un genere che fonde psichedelia, elettronica e hard rock, proiettando l’ascoltatore in una dimensione sospesa tra fantascienza e sperimentazione.
Con oltre cinquant’anni di carriera, cambi di formazione continui, album visionari e concerti trasformati in esperienze multimediali, gli Hawkwind hanno influenzato intere generazioni di musicisti, lasciando un segno indelebile nella storia del rock progressivo e alternativo.
Siamo nel 1969, anno di rivoluzioni sociali, di Woodstock e della corsa allo spazio. In questo contesto di fermento, il chitarrista Dave Brock – vero cuore pulsante degli Hawkwind – insieme al sassofonista Nik Turner, al bassista John Harrison, al chitarrista Huw Lloyd-Langton, al tastierista Dik Mik e al batterista Terry Ollis, fonda un gruppo con l’intenzione di andare oltre le convenzioni musicali dell’epoca.
Il nome iniziale era Group X, ma presto venne scelto Hawkwind, un termine che richiama immagini di rapaci in volo e di vento cosmico, perfettamente in linea con le atmosfere che avrebbero caratterizzato la loro musica.
Il primo album, “Hawkwind” (1970), uscì per la Liberty Records e già mostrava chiaramente l’orientamento della band: lunghi brani ipnotici, tessuti di suoni elettronici e atmosfere psichedeliche che trasportavano l’ascoltatore in un viaggio mentale.
Pur non avendo grande successo commerciale, l’album gettò le basi dello space rock e attirò l’attenzione della scena underground londinese.
Gli Hawkwind non si limitarono a comporre musica: costruirono un intero universo artistico. Nei loro concerti, oltre agli strumenti musicali, trovavano spazio luci stroboscopiche, proiezioni di immagini cosmiche, costumi futuristici e ballerine robotiche.
La band si trasformò così in un’esperienza totale, un collettivo in cui la musica era parte di una visione più ampia, sospesa tra arte visiva e fantascienza.
Il secondo album, “In Search of Space” (1971), consolidò la reputazione degli Hawkwind. Con brani come Master of the Universe, il gruppo mise in chiaro la sua identità: riff ipnotici, atmosfere cosmiche e testi che parlavano di universi paralleli e viaggi interstellari.
L’album fu accompagnato da un libretto illustrato dal grafico Barney Bubbles, che contribuì a creare l’estetica iconica della band.
La vera esplosione arrivò con il singolo “Silver Machine” (1972), cantato da Lemmy Kilmister, che all’epoca era il bassista della band. Il brano, ispirato alla corsa allo spazio e alla fantascienza, raggiunse il numero 3 della classifica britannica e trasformò gli Hawkwind in una band di culto.
Il successo fu tale da catapultarli in programmi televisivi e festival, pur rimanendo sempre un gruppo legato alla controcultura.
Il 1973 vide la pubblicazione di “Space Ritual”, un album live registrato durante il tour. Più che un concerto, era un vero e proprio rituale multimediale, con luci, costumi, poesia recitata e musica che ipnotizzava il pubblico.
Questo disco rimane ancora oggi una pietra miliare del rock sperimentale, un viaggio sonoro che condensa l’essenza degli Hawkwind.
Uno dei periodi più celebri della band fu quello con Lemmy Kilmister al basso. Lemmy portò un’impronta più dura e aggressiva, anticipando quello che sarebbe poi diventato il sound dei Motörhead.
Il suo licenziamento nel 1975, a seguito di un arresto per possesso di droga al confine canadese, segnò la fine di un’epoca, ma anche la nascita della leggenda dei Motörhead, destinati a scrivere un’altra pagina di storia del rock.
Nonostante l’uscita di Lemmy, gli Hawkwind continuarono a sfornare capolavori. Nel 1975 pubblicarono “Warrior on the Edge of Time”, considerato uno dei migliori album della loro carriera.
Ispirato agli scritti fantasy di Michael Moorcock, amico e collaboratore della band, il disco mescolava epica, fantascienza e progressive rock in un intreccio sonoro unico.
La seconda metà degli anni ’70 fu segnata da continui cambi di formazione, ma anche da una sorprendente capacità di reinventarsi. Album come “Astounding Sounds, Amazing Music” (1976) e “Quark, Strangeness and Charm” (1977) esplorarono sonorità più leggere e quasi pop, senza però perdere la vena sperimentale.
Nel 1979 uscì “PXR5”, un disco registrato dal vivo in studio, che chiuse simbolicamente il decennio e una delle fasi più intense della band. continua… ⬇️
discografia
Hawkwind | 1970 | L’album di debutto, un mix di rock psichedelico, space rock e musica d’avanguardia. |
In Search of Space | 1971 | Un album fondamentale per lo space rock, con brani lunghi e improvvisati che esplorano temi di fantascienza. |
Doremi Fasol Latido | 1972 | Un album che consolida il loro sound space rock, con riff potenti e assoli di chitarra virtuosi. |
Space Ritual | 1973 | Considerato uno dei più grandi album dal vivo di tutti i tempi, cattura l’energia e l’atmosfera dei loro concerti. |
Hall of the Mountain Grill | 1974 | Un album che esplora sonorità più complesse e progressive, con un tocco più melodico e oscuro. |
Warrior on the Edge of Time | 1975 | Un concept album fantasy, che narra la storia di un guerriero che combatte contro le forze del male. |
Astounding Sounds, Amazing Music | 1976 | Un album che segna un’evoluzione nel suono della band, con influenze punk rock e new wave. |
Quark, Strangeness and Charm | 1977 | Un album che esplora sonorità più dirette e pop, con brani che mescolano space rock e new wave. |
25 Years On | 1978 | Un album che celebra il 25° anniversario della band, con brani che esplorano temi di spiritualità e introspezione. |
PXR5 | 1979 | Un album che segna un ritorno a un sound più hard rock e psichedelico, con brani potenti e grintosi. |
Levitation | 1980 | Un album che mescola space rock e heavy metal, con brani epici e un tocco più melodico. |
Sonic Attack | 1981 | Un album che esplora sonorità più oscure e aggressive, con un sound che mescola space rock e punk. |
Church of Hawkwind | 1982 | Un album che celebra il loro amore per la musica d’avanguardia e la sperimentazione. |
Choose Your Masques | 1982 | Un album che esplora sonorità più hard rock e space rock, con brani più diretti e grintosi. |
The Chronicle of the Black Sword | 1985 | Un concept album basato sulla saga fantasy di Elric di Melniboné, con un sound epico e orchestrale. |
Out and Inbox | 1987 | Un album che mescola space rock, new wave e industrial, con brani sperimentali e audaci. |
The Xenon Codex | 1988 | Un album che esplora sonorità più hard rock e psichedeliche, con un tocco più melodico. |
Space Bandits | 1990 | Un album che celebra il loro sound space rock classico, con brani potenti e grintosi. |
Electric Tepee | 1992 | Un album che esplora sonorità più techno e ambient, con brani sperimentali e audaci. |
It Is the Business of the Future to Be Dangerous | 1993 | Un album che mescola space rock, industrial e new wave, con un sound aggressivo e potente. |
Alien 4 | 1995 | Un album che esplora sonorità più hard rock e psichedeliche, con un sound più maturo e riflessivo. |
Love in Space | 1996 | Un album che celebra il loro amore per la musica d’avanguardia e la sperimentazione. |
In Your Area | 1997 | Un album dal vivo che cattura l’energia e l’atmosfera dei loro concerti. |
The Machine Stops | 2016 | Un concept album basato sul racconto omonimo di E.M. Forster, con un sound futuristico e fantascientifico. |
Into the Woods | 2017 | Un album che esplora sonorità più hard rock e folk, con un tocco più intimo e riflessivo. |
Road to Utopia | 2018 | Un album che celebra il loro amore per la musica d’avanguardia e la sperimentazione. |
All Aboard the Skylark | 2019 | Un album che mescola space rock, blues e folk, con brani che raccontano storie di vita e di amore. |
Carnivorous | 2020 | Un album che esplora sonorità più oscure e aggressive, con un sound che mescola space rock e industrial. |
Dopo un decennio segnato da successi, sperimentazioni e continui cambi di formazione, gli anni ’80 rappresentarono per gli Hawkwind una fase di transizione complessa. Le nuove correnti musicali – punk, new wave, heavy metal – avevano mutato profondamente il panorama, relegando lo space rock a una nicchia. Tuttavia, Dave Brock non era tipo da arrendersi: la sua visione cosmica della musica doveva continuare a vivere.
Nel 1980 la band pubblicò “Levitation”, con il celebre batterista dei Cream, Ginger Baker, dietro le pelli. L’album fu accolto positivamente, soprattutto per l’energia e la freschezza che Baker seppe trasmettere. I brani, pur restando fedeli al DNA cosmico della band, avevano un piglio più diretto e potente, segnando l’inizio di un nuovo capitolo.
Tuttavia, la stabilità era un lusso che gli Hawkwind non potevano permettersi. Dopo l’uscita di Baker, la band attraversò nuovamente tensioni interne e frequenti rimpasti, dando vita a una discografia a tratti discontinua ma sempre coraggiosa. Album come “Sonic Attack” (1981) e “Church of Hawkwind” (1982) esploravano territori più elettronici e sperimentali, riflettendo l’influenza delle nuove tecnologie e dei sintetizzatori.
Il 1985 segnò un ritorno in grande stile con “Chronicle of the Black Sword”, un concept album ispirato ai romanzi fantasy di Michael Moorcock sulla saga di Elric di Melniboné. Questo disco riportò gli Hawkwind a un livello di coesione creativa che sembrava smarrito da tempo.
La tournée che seguì fu spettacolare: veri e propri spettacoli teatrali con scenografie elaborate, costumi fantasy e recitazioni dal vivo, trasformando i concerti in opere rock multimediali.
Con l’avvento degli anni ’90, gli Hawkwind si trovarono a navigare in un mondo musicale dominato dal grunge e dal britpop. Molti gruppi storici faticavano a restare rilevanti, ma per gli Hawkwind il concetto stesso di “mode” era sempre stato relativo: loro continuavano a percorrere la propria traiettoria, incuranti delle tendenze.
Album come “Space Bandits” (1990) e “Electric Tepee” (1992) dimostravano la volontà di mantenere viva la fiamma dello space rock, arricchendola con elementi elettronici più moderni. Nel 1995, con “Alien 4”, la band affrontò temi di alienazione e tecnologia in un mondo ormai sempre più dominato dai computer, mantenendo la loro tradizione di unire musica e riflessioni filosofiche.
Le esibizioni dal vivo rimasero il vero punto di forza: festival come il Hawkestra del 2000 riunirono membri storici e nuove leve, celebrando tre decenni di musica visionaria.
Il nuovo millennio vide gli Hawkwind consolidare la loro posizione come band di culto. Con Dave Brock sempre alla guida, la band pubblicò album come “Take Me to Your Leader” (2005) e “Blood of the Earth” (2010), che confermavano la capacità di mantenere viva la tradizione pur innovando nel sound.
In questi anni la band si guadagnò un rinnovato rispetto, non solo da parte dei fan storici, ma anche da nuove generazioni di ascoltatori incuriositi dal revival della psichedelia e dell’elettronica cosmica. Festival come Glastonbury e tour in tutta Europa riportarono il nome Hawkwind sotto i riflettori.
Sorprendentemente, a più di quarant’anni dalla fondazione, gli Hawkwind continuarono a produrre musica nuova e di qualità. Album come “The Machine Stops” (2016), ispirato a un racconto distopico di E.M. Forster, e “All Aboard the Skylark” (2019) dimostrarono che la creatività della band non si era mai spenta.
Questi dischi mantennero l’approccio narrativo e visionario tipico della band, con atmosfere che spaziavano dall’epico al meditativo, mantenendo viva l’essenza dello space rock.
Nel 2021, in piena pandemia, uscì “Somnia”, un concept album dedicato al mondo dei sogni e alle dimensioni oniriche. Ancora una volta, gli Hawkwind mostrarono di saper fondere temi filosofici e fantascientifici con musica ipnotica, offrendo ai fan un’esperienza che andava oltre il semplice ascolto.
Oggi, gli Hawkwind sono considerati una delle band più influenti e longeve della storia del rock. Nonostante i cambi di formazione (più di cinquanta musicisti hanno fatto parte del gruppo nel corso degli anni), il cuore pulsante è sempre stato Dave Brock, custode della visione originaria.
Il loro contributo va ben oltre le classifiche: hanno creato un genere – lo space rock – che ha ispirato artisti di ogni epoca, dai Pink Floyd più sperimentali fino a band metal e psichedeliche contemporanee. Senza dimenticare che dal loro seno è nato un gigante come Lemmy, destinato a fondare i Motörhead e a diventare un’icona mondiale.
Nonostante l’età avanzata dei membri storici, gli Hawkwind continuano a esibirsi dal vivo, a pubblicare album e a mantenere vivo il loro mito. Le loro esibizioni restano esperienze immersive, dove musica, luci e immagini si fondono in un rito cosmico che trascende il tempo.
Per i fan, ogni concerto degli Hawkwind non è solo un evento musicale, ma un viaggio nello spazio interiore, un rito collettivo che unisce generazioni diverse sotto lo stesso cielo stellato della musica.
La storia degli Hawkwind è quella di una band che ha sfidato ogni logica commerciale, rimanendo fedele a una visione artistica radicale e visionaria. Dal 1969 a oggi, hanno attraversato cinque decenni senza mai abbandonare il loro spirito pionieristico.
Gli Hawkwind non sono solo una band: sono un’idea, un viaggio, un’esperienza. Un faro che ha guidato e continua a guidare chi cerca nella musica non solo intrattenimento, ma anche una porta verso l’infinito.
All’inizio si chiamavano Group X, ma decisero di cambiare nome scegliendo Hawkwind, un termine che fonde immagini di falchi e vento cosmico. Una scelta che rispecchia perfettamente il loro stile psichedelico.
“Silver Machine” (1972), cantata da Lemmy, fu concepita quasi come una parodia. Eppure divenne un successo clamoroso, arrivando al terzo posto nelle classifiche britanniche.
Nel 1975 Lemmy Kilmister venne arrestato al confine canadese per possesso di sostanze. L’episodio causò il suo licenziamento dagli Hawkwind… ma aprì la strada alla nascita dei Motörhead.
Gli spettacoli degli Hawkwind negli anni ’70 erano veri rituali multimediali: luci stroboscopiche, ballerine robotiche, proiezioni di fantascienza e poesia recitata. Non solo concerti, ma esperienze totali.
Lo scrittore fantasy Michael Moorcock collaborò spesso con la band, scrivendo testi e partecipando ai live. I suoi romanzi hanno ispirato album come Warrior on the Edge of Time e Chronicle of the Black Sword.
Nel corso della carriera, più di 50 musicisti sono passati negli Hawkwind. Una delle band con più cambi di formazione della storia del rock.
Negli anni ’70, la danzatrice Stacia Blake accompagnava i concerti del gruppo con performance spettacolari, spesso seminuda e dipinta con colori fluorescenti. Una figura iconica della loro estetica.
“Space Ritual” (1973) non è solo un disco dal vivo: è un viaggio sonoro che cattura l’essenza cosmica della band. Ancora oggi è considerato uno dei migliori live album della storia del rock.
Nonostante fossero una band psichedelica, il loro approccio ribelle influenzò anche la scena punk. Molti punk britannici degli anni ’70 dichiararono di aver visto negli Hawkwind un’ispirazione.
Tra i tanti membri e ospiti della band ci sono stati nomi incredibili: da Ginger Baker (ex Cream) alla cantante Samantha Fox, che partecipò a una versione di Master of the Universe.
Pur non essendo heavy metal, gli Hawkwind hanno sempre avuto un forte seguito tra i fan del metal. Non a caso Lemmy li definì “più duri di molte band hard rock dell’epoca”.
La band ha spesso anticipato i tempi: già negli anni ’70 e ’80 trattava temi come alienazione tecnologica, guerre spaziali e mondi distopici. Album come The Machine Stops (2016) ne sono un esempio attuale.
Gli Hawkwind non hanno mai inseguito il successo commerciale. Anche nei momenti più difficili, hanno continuato a pubblicare dischi e suonare dal vivo, mantenendo un seguito fedele.
Durante i live, spesso testi poetici venivano recitati su basi sonore. Questa fusione di musica e spoken word è uno dei tratti distintivi dello space rock degli Hawkwind.
Nonostante i decenni passati, gli Hawkwind continuano a esibirsi e a pubblicare album. Dave Brock, fondatore e anima della band, resta ancora oggi il faro che guida il loro viaggio cosmico.