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Keith Jarrett

Keith Jarrett commons

Un bambino e il pianoforte

Immagina una casa nella Pennsylvania del dopoguerra, il 1945. Un bambino di nome Keith Jarrett si avvicina a un pianoforte, le dita piccole e curiose che sfiorano i tasti. Non ha ancora tre anni, ma la musica lo chiama già con la forza di una vocazione. Da quel momento, la sua vita sarà un viaggio senza sosta attraverso mondi sonori, tra jazz, classica, improvvisazione e silenzio.

Le radici di un prodigio

Keith nasce ad Allentown, in una famiglia di origini miste: madre di discendenza ungherese, padre americano. La musica è ovunque: la madre lo incoraggia, lo iscrive a lezioni di pianoforte e lo porta a esibirsi in pubblico già da bambino. A sette anni suona alla Academy of Music di Philadelphia; poco dopo, si esibisce al Madison Square Garden. La sua formazione è rigorosa: studi classici, esercizi quotidiani, ascolto attento dei grandi maestri. Ma dentro di lui pulsa già una curiosità che va oltre le note scritte4.

Il richiamo del jazz e la fuga a New York

A 15 anni, Jarrett si dedica anche alla composizione. Il suo talento lo porta a Boston, al Berklee College of Music, ma la vera svolta arriva quando decide di trasferirsi a New York nel 1964. Qui si immerge nella scena jazz, suonando nei club del Greenwich Village, tra jam session e incontri fortuiti. È il periodo dell’America in fermento: la musica è sperimentazione, ribellione, ricerca di nuove strade4.

L’incontro con i giganti: Art Blakey, Charles Lloyd, Miles Davis

Il primo a notarlo è Art Blakey, che lo vuole nei suoi Jazz Messengers. Ma l’esperienza dura poco: Jarrett è già troppo indipendente per restare a lungo in una band guidata da altri. È Jack DeJohnette a presentarlo a Charles Lloyd, con cui entra nel quartetto che rivoluziona il jazz degli anni Sessanta. Il loro album Forest Flower diventa un successo internazionale, e la band conquista anche il pubblico dei festival rock, suonando al Fillmore di San Francisco e persino davanti ai Beatles al Royal Albert Hall di Londra14.

Nel 1969, Jarrett si unisce a Miles Davis, entrando nella formazione elettrica che sta cambiando la storia del jazz. Non ama le tastiere elettroniche, ma accetta la sfida per lavorare con un genio come Davis, accanto a musicisti come Chick Corea e Herbie Hancock. È un periodo di esplorazione, di contaminazioni tra jazz, rock e funk56.

Il leader e l’improvvisatore

Negli anni Settanta, Jarrett sente il bisogno di esprimere la propria visione. Forma un trio con Charlie Haden e Paul Motian, poi un quartetto con Dewey Redman. Ma è come solista che trova la sua voce più autentica: si siede al pianoforte e lascia che la musica fluisca, senza spartiti, senza limiti. Le sue improvvisazioni diventano viaggi interiori, esplorazioni di emozioni e paesaggi sonori126.

The Köln Concert – La notte che cambiò la storia

Il 24 gennaio 1975, Jarrett arriva stanco e affamato all’Opera House di Colonia. Il pianoforte è un disastro: tasti difettosi, suono debole, pedali che non funzionano. Jarrett, inizialmente, si rifiuta di suonare. Ma la giovane organizzatrice, Vera Brandes, lo convince. Keith accetta, a patto che il concerto venga registrato per dimostrare quanto sia importante curare i dettagli tecnici. Quella notte, davanti a una sala gremita, Jarrett improvvisa uno dei concerti più straordinari della storia: The Köln Concert, che diventerà il disco per pianoforte più venduto di sempre, un capolavoro nato dall’imperfezione e dalla resilienza123.

L’arte dell’improvvisazione totale

Jarrett trasforma il concerto solista in un’esperienza mistica. Si alza, canta, mugugna, colpisce i tasti con forza per superare i limiti dello strumento. Ogni performance è unica, irripetibile, un dialogo tra artista, pubblico e pianoforte. La sua musica attinge dal jazz, dalla classica, dal gospel, dal blues, dalle melodie popolari di tutto il mondo. Nei suoi concerti, il tempo sembra sospendersi: la musica nasce e muore sul momento, senza rete di sicurezza146.

La doppia anima: jazz e classica

Negli anni Ottanta, Jarrett si dedica anche alla musica classica, interpretando Bach, Scarlatti, Beethoven, Shostakovich. I suoi recital sono acclamati in tutto il mondo; la critica lo riconosce come uno dei pochi musicisti capaci di eccellere sia nel jazz che nella classica. Parallelamente, fonda il celebre “Standards Trio” con Gary Peacock e Jack DeJohnette, con cui incide decine di album e ridefinisce il concetto di standard jazzistico45.

La ricerca spirituale e il silenzio

Jarrett è noto per la sua sensibilità estrema: richiede silenzio assoluto durante i concerti, interrompe l’esecuzione se il pubblico tossisce o fa rumore. Per lui, la musica è una forma di meditazione, un atto sacro. La sua ricerca spirituale lo porta ad abbracciare filosofie orientali, a praticare la meditazione, a vivere la musica come un viaggio interiore46.

Le sfide della salute e la resilienza

La vita di Jarrett è segnata anche da momenti difficili. Negli anni Novanta combatte contro la sindrome da fatica cronica, che lo costringe a interrompere le esibizioni per anni. Ma ogni volta ritorna, più forte e ispirato. Nel 2018, due ictus lo colpiscono duramente, lasciandolo parzialmente paralizzato e incapace di suonare con la mano sinistra. Nonostante tutto, la sua eredità artistica resta intatta, e la sua musica continua a ispirare milioni di persone12.

Premi, riconoscimenti e influenza

Keith Jarrett ha ricevuto alcuni dei più prestigiosi premi musicali: il Polar Music Prize (2003), il Léonie Sonning Music Prize (2004), l’ingresso nella DownBeat Jazz Hall of Fame (2008). La sua influenza si estende ben oltre il jazz: ha ispirato pianisti classici, compositori contemporanei, musicisti di ogni genere. Il suo modo di vivere la musica come atto creativo e spirituale è diventato un modello per intere generazioni12.

L’uomo dietro il genio

Dietro il mito c’è un uomo complesso, talvolta difficile, perfezionista fino all’eccesso. Jarrett è noto per le sue intemperanze, per le richieste rigorose, per la difesa ostinata della purezza musicale. Ma è anche un artista generoso, capace di emozionare con una sola nota, di trasformare l’errore in bellezza, il limite in opportunità

Facing You1971Primo album da solista al piano, improvvisazioni pure che definiscono il suo stile.
Solo Concerts: Bremen/Lausanne1973Registrazioni live seminali per la sua carriera da solista, improvvisazioni lunghe e ipnotiche.
The Köln Concert1975Il suo album più famoso, improvvisazione live al piano, capolavoro assoluto del jazz.
The Survivors’ Suite1976Con il suo “American Quartet”, jazz d’avanguardia tra free e spiritualità.
My Song1977Con Jan Garbarek, album melodico e malinconico, tra i migliori del quartetto europeo.
Sun Bear Concerts1976Box-set di 5 concerti solisti in Giappone, improvvisazioni monumentali.
Nude Ants1979Live al Village Vanguard con il quartetto europeo, energia e interazione uniche.
Standards, Vol. 11983Primo album con il “Standards Trio” (Peacock, DeJohnette), riletture di classici jazz.
Spirits1985Doppio album sperimentale, Jarrett suona tutti gli strumenti, atmosfere folk e improvvisate.
Dark Intervals1987Album solista più strutturato, meno improvvisato ma intenso e meditativo.
The Cure1990Live con il Standards Trio, dinamiche perfette e swing travolgente.
Vienna Concert1991Altro capolavoro solista live, improvvisazione fluida e narrativa.
At the Blue Note1994Box-set di 6 CD con il Standards Trio, tra i migliori live jazz degli anni ’90.
La Scala1995Concerto solista maestoso, registrato al Teatro alla Scala di Milano.
The Melody at Night, With You1999Album intimo e delicato, registrato durante una malattia, reinterpretazioni di standard.
Whisper Not1999Live con il trio, omaggio a standard jazz con energia rinnovata.
Radiance2005Doppio CD solista live in Giappone, improvvisazioni frammentate ma intense.
The Carnegie Hall Concert2006Solista alla Carnegie Hall, performance divisa in lunghe improvvisazioni.
Sleeper2012Registrazione inedita del quartetto europeo (1979), jazz d’avanguardia.
Munich 20162019Ultimo grande concerto solista, prima del ritiro per motivi di salute.

curiosità

Il concerto di Colonia e la “maledizione” del pianoforte sbagliato
Il leggendario Köln Concert del 1975 nacque da una serie di errori: per sbaglio, sul palco fu posizionato un pianoforte da prova, mal regolato, con tasti duri, suono debole e pedali difettosi. Jarrett era così contrariato che inizialmente non voleva suonare, ma fu convinto dalla giovane organizzatrice Vera Brandes. La performance, nata dalla necessità di adattarsi ai limiti dello strumento, diventò il disco per pianoforte più venduto di tutti i tempi.

Il mugolio e le “voci” durante i concerti
Jarrett è celebre per i suoi “vocalizzi” involontari: durante le esibizioni, canta, mugugna, geme, a volte quasi urla sopra le note. Questo comportamento, che per alcuni è parte integrante della sua arte e per altri una distrazione, è diventato un suo segno distintivo.

La richiesta di silenzio assoluto
Keith Jarrett è noto per pretendere il silenzio totale dal pubblico. Se qualcuno tossisce, parla o scatta foto, può interrompere il concerto, rimproverare il pubblico o addirittura lasciare il palco. In alcune occasioni, ha chiesto di spegnere l’aria condizionata o di sospendere la vendita di bevande per evitare rumori di fondo.

L’album folk-rock “segreto”
Nel 1968, Jarrett pubblicò Restoration Ruin, un disco folk-rock in cui suona tutti gli strumenti e canta. È l’unico album della sua carriera in cui si cimenta come cantante e polistrumentista, mostrando un lato completamente diverso rispetto al pianista jazz che tutti conoscono.

L’improvvisazione come regola assoluta
Jarrett spesso sale sul palco senza alcuna idea preconcetta di cosa suonerà. Una volta dichiarò: “Non so mai cosa suonerò finché non metto le mani sulla tastiera.” Questo approccio radicale all’improvvisazione lo ha portato a creare concerti sempre diversi, irripetibili, ma anche a interrompere spettacoli se non sentiva “l’energia giusta”.

La passione per la musica classica e il clavicembalo
Oltre al jazz, Jarrett è stato un raffinato interprete di Bach, Shostakovich, Mozart e altri classici. Ha inciso anche album per clavicembalo, strumento che lo affascinava per la sua complessità e il suono unico.

Il rapporto conflittuale con la tecnologia
Jarrett ha spesso criticato l’uso di telefoni, registratori e flash durante i concerti. In alcune occasioni, ha minacciato di annullare lo show se avesse visto anche un solo cellulare acceso in sala.

La lunga lotta con la salute
Negli anni ’90, Jarrett fu colpito dalla sindrome da fatica cronica, che lo costrinse a una pausa forzata di diversi anni. Nonostante la malattia, tornò sulle scene con concerti ancora più intensi. Dopo due ictus nel 2018, ha dichiarato di non poter più suonare con la mano sinistra, ma la sua musica continua a ispirare milioni di ascoltatori.

libri

Keith Jarrett. Improvvisazioni dall'anima

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Alessandro Balossino racconta Keith Jarrett, genio del pianoforte e dell’improvvisazione pura, tra tormenti personali, malattia, filosofia e musica. Sul palco, in attesa silenziosa, Jarrett crea dal nulla, cercando la nota giusta con sforzo sovrumano, dando vita a concerti unici e indimenticabili come “The Köln Concert”.

Keith Jarrett l’improvvisazione nell’improvvisazione

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Francesco Scaramuzzino offre un’analisi approfondita del terzo movimento del Köln Concert di Keith Jarrett, riuscendo a cogliere come il processo compositivo e quello improvvisativo si intreccino fino a fondersi in un’unica esperienza musicale, espressione pura del genio creativo di Jarrett.

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monografia completa su Keith Jarrett, delineando i momenti chiave della sua vita, l’evoluzione della sua vasta discografia e l’impatto duraturo della sua eredità artistica nel panorama musicale .

Keith Jarrett. L'uomo, la musica

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Il volume esplora dettagliatamente la carriera di Jarrett, dalle sue prime esperienze musicali fino agli anni Ottanta, analizzando sia la sua evoluzione artistica che gli aspetti più intimi della sua personalità. Carr, musicista e critico jazz, offre un'analisi lucida e appassionata del percorso creativo di Jarrett, evidenziando la sua capacità di fondere jazz, musica classica, gospel e influenze etniche in un linguaggio musicale unico. Particolare attenzione è dedicata al suo approccio all'improvvisazione e alla spiritualità che perme a molte delle sue esecuzioni.